venerdì 31 luglio 2015

Parcelle d'oro e aziende fallite. Il disastro dei beni confiscati

Beni confiscati alla mafia, un disastro all'italiana. Dalle parcelle d'oro per amministratori giudiziari e consulenti al fallimento di decine di imprese. Così lo Stato sperpera un valore enorme


"Beni confiscati, pasticcio all'italiana ". La vidiointervista del direttore di Affari Angelo Maria Perrino a Umberto Postiglione

Pino Maniaci ad Affari: "Truffa consentita dalla legge. Renzi? Non farà nulla"

Mirabelli (Pd) ad Affari: "Agenzia sgravata e tempi più snelli ma no a nuovi fondi"

IL TESTO INTEGRALE DELLA PROPOSTA DI RIFORMA DELLA COMMISSIONE ANTIMAFIA

Fonte: www.affaritaliani.it


Beni confiscati alla mafia, un disastro all'italiana. Dalle parcelle d'oro per amministratori giudiziari e consulenti al fallimento di decine di imprese. Lo Stato italiano, come denunciato dal direttore dell'Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati alla mafia Umberto Postiglione nella videointervista al direttore di Affaritaliani.it, sperpera un valore enorme.

I NUMERI - Sono decine di migliaia i beni che l'Agenzia diretta da Postiglione è chiamata a gestire dopo la confisca definitiva. Abitazioni, terreni, esercizi commerciali, barche, ville, aziende intere. Un'enorme mole di beni che però arriva nelle mani dell'Agenzia quasi sempre quando è troppo tardi. Una percentuale altissima delle aziende sequestrate, per esempio, perviene in stato di insolvenza al momento della confisca definitiva, con grave dispersione di occasioni di rilancio economico e di possibili introiti erariali. Questo perché, come non ha mancato di sottolineare anche lo stesso Postiglione, c'è la "presenza di risorse ancora in sequestro, alcune risalenti addirittura agli anni '80, per le quali non risultano intervenuti provvedimenti definitivi di confisca, restituzione o versamento al bilancio statale". Insomma, ci troviamo di fronte a una potenzialmente enorme fonte di ricchezza per le casse dello Stato che invece giace in malora o destinata al fallimento a causa anche di un sistema organizzativo che si può definire quantomeno poco trasparente e nel quale come denunciato da Postiglione "l'Agenzia si ritrova con le mani legate".

LE PAGHE D'ORO - Raffaele Cantone, presidente dell'authority Anticorruzione ha scritto negli scorsi giorni al governo chiedendo una legge chiara sugli stipendi degli amministratori giudiziari. Una mossa importante, che in molti hanno salutato con favore. Pino Maniaci, il direttore dell'emittente palermitana Tele Jato, da anni denuncia gli stipendi a sei cifre dei manager chiamati a gestire i beni sequestrati alle mafie. Già, perché se ci sono beni ancora in ghiacciaia dagli anni '80, bloccati in un limbo senza fine, il tassametro dei professionisti non si ferma. C'è dunque il rischio che alcune delle procedure più redditizie finiscano per ingigantire il portafoglio di pochi svuotando quelli di tanti altri. Già il predecessore di Postiglione, Giuseppe Caruso, aveva attaccato gli amministratori nominati dai tribunali: "Le risorse dovrebbero essere restituite alla comunità", aveva detto, "e invece in troppi casi e per troppi anni sono considerati beni privati da alcuni amministratori giudiziari che li hanno considerati come fortune sulle quali garantirsi un vitalizio".

FALLIMENTI E CHIUSURE - Già, perché sono tante le imprese che immerse nella procedura di confisca si ritrovano a dover chiudere. Centinaia di beni sequestrati vanno in rovina nell'attesa di essere riconvertiti. Non è semplice trovare imprenditori desiderosi di investire denaro su beni dal futuro tanto incerto. Manca del tutto il collegamento e un'informazione adeguata sui beni confiscati. Il censimento, promesso da anni, è rimasto un'utopia. Non c'è la cognizione di dove si trovino questi beni e quale sia la loro destinazione. Il risultato? Solo un'azienda su dieci di quelle tolte alle mafie sopravvive con la gestione dello Stato. Una sconfitta devastante per lo Stato che non solo non utilizza dei beni a fini economici ma nemmeno a fini sociali. Non c'è nulla di più desolante del vedere un bene sequestrato andare in rovina oppure finire di nuovo in mani criminali.

Qui di seguito pubblichiamo l'intervista all'avvocato Ilaria Ramoni, specialista del tema, che sottolinea l'urgenza di provvedimenti politici sulla gestione dei beni confiscati. Aspettiamo speranzosi il momento in cui il governo Renzi, o chi per esso, si renda conto dell'importanza di un intervento serio e deciso.

L'INTERVISTA ALL'AVVOCATO ILARIA RAMONI (autrice insieme ad Alessandra Coppola del libro "Per il nostro bene", Chiarelettere)

Avvocato Ramoni, lei già due anni aveva messo in luce tutte le problematiche legate ai beni confiscati e in particolare all'Agenzia. Che cosa è cambiato in questi due anni?

Non è cambiato niente purtroppo, i problemi sono sempre gli stessi. L'implementazione dell'organico non c'è mai stata, il modello organizzativo è rimasto lo stesso. Le persone sono poche e non hanno la possibilità di essere formate adeguatamente. Il sistema informatico che doveva mettere in relazione tutti i dati sulle confische è finalmente partito ma il problema rimane lo stesso visto che non vengono contabilizzate le confische deirvanti da misure di prevenzione penali. Purtroppo la situazione è sempre più drammatica. Le confische aumentano e l'organizzazione è allo sbando.

Entro l'anno potrebbero arrivare in aula delle proposte di riforma...

Sì, c'è la proposta della Commissione Antimafia e ci sono anche altre proposte. Il problema è che per ora si è continuato di volta in volta a rimandare col risultato che questa riforma non c'è stata. Serve un riordino dei beni confiscati, è bene che la politica capisca quanto è importante questa riforma.

Come va strutturata la riforma?

Lo spostamento dell'Agenzia sotto la responsabilità della presidenza del Consiglio al posto del ministero dell'Interno darebbe una maggiore agilità d'azione. Sui beni confiscati c'è bisogno di un'ottica di rilancio e incentivo economico al Paese che il ministero dell'Interno non può dare. Poi si prevede di chiudere alcune sedi dislocate sul territorio e potenziare quelle centrali di Roma e di Reggio Calabria, che oggi è ancora la sede principale nonostante sia un po' un controsenso. Bisogna poi potenziare l'arrività delle prefetture e degli enti locali nella gestione. Poi si parla di prevedere la possibilità per l'Agenzia di prendere personale esterno dalla pubblica amministrazione. Oggi l'Agenzia non fa assunzioni col risultato che mancano delle professionalità importanti. L'organico è composto da dipendenti pubblici distaccati. Loro sono anche bravissimi ma magari sono poliziotti o altro e da un giorno all'altro non possono inventarsi esperti di beni confiscati. Hanno boisogno di tempo per capire come funzione e questo rallenta tutto. Ci vogliono persone che sappiano con sicurezza che cosa fare.

Un altro dei problemi legati alla confisca dei beni è quello delle "parcelle d'oro" degli amministratori giudiziari...

La verità è che ci sono amministratori giudiziari che gestiscono procedure complesse e quindi molto remunerative e molti altri che gestiscono il resto e ci guadagnano ben poco. Il problema semmai è che esiste una lobby di alcuni amministrazioni giudiziari che si prendono, nominati dai tribunali, le procedure più importanti. Sono sempre gli stessi e si arricchiscono. Il punto è che non esiste un albo degli amministratori giudiziari. Non c'è albo, non c'è trasparenza nella scelta di un amministratore o di un altro. E' ovvio che poi si vengono a creare sacche di favoritismi. Le "parcelle d'oro" sono causate anche dalla mancanza di tabelle certe per le paghe. Come detto, il risultato è che c'è chi non ci guadagna niente e i più furbi che diventano ricchi.


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