Da L’unità del 20 luglio 2015
Che c'azzecca il sindacato dei pensionati con la lotta alla mafia e la gestione dei beni confiscati? La domanda è molto meno peregrina di quanto appaia.
«Noi che abbiamo lottato una vita per conquistare diritti siamo sempre stati vicini alla lotta di Don Ciotti», spiega Lucia Rossi, segretario nazionale con delega ai campi. Dal 2011 lo Spi, insieme a Cgil, Arci e Libera, ha aderito al progetto nazionale "Campi della legalità sui beni confiscati alle mafie".
«I giovani e gli anziani insieme sono una forza contro tutte le mafie», recita lo slogan di quest'anno. Dal 2011 ad oggi il progetto si è ingrandito di anno in anno. «Siamo arrivati a 15 campi, fra terreni confiscati dove si lavora e laboratori, dove i beni non contemplano terreni e allora ci si limita ad attività didattiche o di formazione». La mattina nei campi, il pomeriggio formazione e incontro con i protagonisti della lotta alla mafia. «Non esiste un altro luogo dove avere questo scambio di esperienze e generazionale».
Ogni anno da aprile - quando partono i campi a Corleone - fino a ottobre migliaia di giovani e centinaia di volontari dello Spi da tutt'Italia si ritrovano a convivere «facendo rete per la legalità». Corleone è il «campo base», il primo e più grande terreno confiscato alla mafia di Totò Riina. Per giovani e anziani che vanno lì la tappa al museo della legalità è una tappa obbligata che segna la loro vita per sempre.
Una ragazza: "Insegnateci i diritti"
«Questa mattina ero a Mesagne - racconta Lucia - e una ragazza che partecipa al campo ha detto una cosa che riassume benissimo lo spirito di questa avventura. Rivolgendosi ai volontari dello Spi ha chiesto: "Insegnateci i diritti". Una richiesta che può sembrare assurda e che però ha un senso per chi sta vivendo una fase in cui quegli stessi diritti sono messi in discussione. I campi quindi sono come una trasmissione di esperienze e conoscenza. Ma una trasmissione che avviene nei due sensi, perché i giovani spiegano a noi con la passione che li contraddistingue a quell'età il loro modo di vedere il mondo, che giustamente è diverso dal nostro e comporta che i diritti per cui lotteranno saranno forse differenti ma avranno in comune i valori, primo fra tutti quello della legalità».
Assieme allo Spi al progetto collabora un'altra federazione della Cgil: è la Flai che si occupa del lavoro nei campi ed è quindi in prima fila nella lotta al caporalato e allo sfruttamento del lavoro agricolo. «In questi campi nessuno viene pagato 3 euro l'ora come accade in tanti luoghi fuori da qua».
Il tutto è unito dalla vendita dei prodotti coltivati nei terreni confiscati con il circuito di Libera e delle varie cooperative.
«Ora serve lavoro vero»
Un'esperienza consolidata, dunque. Che però guarda al futuro.«Il contributo che come sindacato vogliamo dare a questo progetto è duplice. Da una parte lavoriamo perché non ci siano più le divisioni fra le varie associazioni: la distinzione fra i campi di Libera e quelli dell'Arci non hanno senso - spiega Lucia - tutti dobbiamo essere insieme per essere più forti».
Il secondo contributo è perfino più importante e necessario. Dice ancora: «Vogliamo portare il lavoro vero in questi campi. Chiediamo al governo che destini risorse perché questi luoghi creino lavoro, occupazione reale, contratti di lavoro per un numero rilevante di persone. In questi anni infatti abbiamo imparato proprio da Libera e Arci che la mafia era forte perché dava lavoro. E proprio creando occupazione nessuno potrà dire che "Con la mafia si lavorava, senza mafia non si lavora più". Su questo punto fondamentale siamo molto in ritardo: i prodotti che escono dai campi hanno finalmente un mercato vero e con ottimi riscontri di vendita, ma le persone che ci lavorano stabilmente sono ancora poche. Ecco, l'impegno del sindacato va in questa direzione: anche questa è una battaglia di legalità.
Testo di Massimo Franchi
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