Si incrociano le storie nella mensa sociale per i braccianti, dove da giorni i partecipanti al campo della legalità e dignità di Parete e Santa Maria La Fossa cenano assieme ai lavoranti della terra. Ai fornelli, le volontarie dello Spi di Rovigo prestano la loro opera. Cibi locali, con qualche deroga esotica: questa sera, l’Imam della Moschea di San Marcellino è venuto a dare una mano, si cucina il cous cous. I ragazzi ascoltano le storie dei braccianti. Daniela Argenton, segretaria provinciale dello Spi di Rovigo che capitana la delegazione di volontarie venete, racconta l’emozione del racconto: «Cerchiamo di farli sentire a loro agio, e ascoltiamo le loro storie di sofferenza, di lavoro, di privazione della dignità personale, e anche di solitudine, perché si trovano molto spesso da soli, ad avere a che fare con una realtà difficile, con un mondo del lavoro a noi sconosciuto. E’ l’occasione per cambiare i nostri pregiudizi: qualcuna di noi aveva abboccato alla propaganda secondo cui chi arriva qua si mette in concorrenza con i nostri disoccupati e invece le cose non stanno così. Questi uomini e queste donne, già perché più della metà dei lavoratori della terra sono donne, devono subire condizioni di lavoro assurde, umilianti». Due delle volontarie hanno conosciuto da ex braccianti il lavoro della terra: «Condizioni così non le abbiamo viste da noi nemmeno negli anni ’50, è incredibile che oggi si possa tollerare forme di sfruttamento così».
Dal
2009, Nero e Non solo ha adattato alcuni locali abbandonati nel
centro cittadino di Parete, per farne un refettorio che è diventato
un punto di riferimento per decine di lavoratori a giornata della
zona.
Puoi
trovare tra gli ospiti uno come Adel ad esempio. Dopo essere arrivato
dalla Tunisia, quasi venti anni fa, e dopo tanti lavori occasionali
nelle aziende agricole del Casertano, era riuscito finalmente a
trovare un lavoro regolare nell’edilizia a Perugia. «Come tanti, -
racconta – ho deciso di andare al Nord per trovare qualcosa di
meglio, e per dieci anni è andata bene. Avevo una busta paga, il
datore mi pagava i contributi e avevo potuto iscrivermi alla cassa
edile. Poi l’azienda ha chiuso i battenti, e ho dovuto decidere se
rimanere senza un lavoro, oppure ritornare qui dove la vita è meno
cara e puoi trovare qualcosa da fare in campagna». Sono tanti i
lavoratori stranieri stagionali, che con la crisi, hanno intrapreso
un viaggio a ritroso, fino a ritornare da dove erano partiti. Quanto
guadagni Adel? «Trenta euro al giorno se va bene, a volte anche per
dieci ore di lavoro. Si comincia alle 5 per la raccolta nei frutteti:
fragole, pesche, albicocche. La notte invece, faccio il guardiano
nella proprietà del padrone in cambio dell’alloggio. Ovviamente
lavoro a nero, qui è raro che ti facciano un contratto». A Villa
Literno, ad esempio, ci sono 900 iscritti nell’anagrafe agricola,
ma sono almeno il doppio gli irregolari, all’eterna ricerca di un
rapporto di lavoro legale.
In
Terra di lavoro, come in altri luoghi del Sud in cui è forte la
presenza migrante, è sorto negli anni un fiorente mercato dei
contratti fasulli. «Un lavoratore arriva a pagare anche migliaia di
euro per averne uno – spiega il segretario della Flai-Cgil di
Caserta, Tammaro Della Corte –. E’ l’effetto perverso delle
nostre leggi balorde sull’immigrazione: se vuoi il permesso di
soggiorno, devi avere un contratto. E se vuoi averlo, devi anche
pagarti i contributi. Entri in un vortice di illegalità, che nelle
sanatorie tocca il livello più alto: tra residenza, ovviamente
falsa, contratto e le pratiche per la regolarizzazione, uno
straniero può pagare anche 5-6 mila euro». Dai patronati
improvvisati ai commercialisti, il mercato del falso ha costruito con
il tempo un ceto professionale che sfrutta, in modo criminale, i
corti circuiti della legge. Le truffe a carico dei poveri cristi che
lavorano la terra diventano la regola. Mohammed, ad esempio, anche
lui bracciante, nel 2012 ha inoltrato domanda di sanatoria come
collaboratore domestico. Le campagne sono strapiene di persone che al
collocamento risultano operatori del commercio, facchini, badanti.
«Avevo
speso fino all’ultimo spicciolo per un’assunzione che mi
permettesse di ottenere il permesso di soggiorno. Quando però sono
andato in questura, ho scoperto che quella persona aveva assunto in
modo fittizio, altri 8 collaboratori domestici, mentre la legge ti dà
la possibilità di assumerne uno. Risultato? E’ cominciata la mia
odissea di irregolare, mentre al padrone non è successo nulla».
«Nel 2010 – sottolinea il presidente Nello Zirillo - Nero e non
solo porta in Tribunale cinque casi di truffa documentata ad
altrettanti immigrati. Ebbene la prima e l’unica audizione si è
tenuta nel 2014 dopodiché più nulla. Nel frattempo, alcuni dei
lavoratori in causa sono stati rimpatriati».
Come
invece rileva Della Corte, gli incontri annuali con la Questura per
monitorare e contrastare il fenomeno dello sfruttamento in
agricoltura, con tanto di targhe e segnalazioni dei caporali, si
concludono nel nulla.
Cambia
il volto dell’immigrazione nella Terra dei Mazzoni. I primi ad
arrivare da queste parti, trent’anni fa, furono gli africani,
quindi i maghrebini. Fu la morte di un rifugiato del Sudafrica –
Jerry Masslo – venuto in Italia alla ricerca di libertà, a creare
la prima reazione allo sfruttamento. A tre decenni di distanza, la
presenza del Continente nero è meno appariscente di una volta ma
comunque forte, come quella degli arabi. Con l’apertura delle
frontiere, i nuovi sfruttati parlano il rumeno, l’albanese,
l’ucraino. Le condizioni di lavoro continuano ad essere terribili.
Gabriele, rumeno, arriva ancora impolverato alla mensa, dopo 12 ore
di lavoro con il trattore: «Lavoriamo per sopravvivere, e se domani
il padrone decide di cacciarti non puoi farci nulla. La verità è
che questa non è Europa, quella comincia da Roma in su».
Il
60% con punte dell’80 tra i lavoratori nella raccolta, sono donne.
Vivono condizioni di lavoro terribili come racconta questo
documentario della Flai Campania.
https://www.youtube.com/watch?v=MzJKLOJ45Z0.
E’ la nuova frontiera dello sfruttamento. Donne schiave, soggette a
qualsiasi tipo di vessazione. La nuova linea della lotta allo
schiavitù in agricoltura passa necessariamente da qui, dalla
liberazione delle donne che con il loro lavoro, fanno arrivare ogni
giorno sulla nostra tavola tutto quello di cui abbiamo bisogno.
(2/continua).
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