venerdì 21 agosto 2015

Parete/ Nella mensa per i braccianti: dall’Est Europa all’Africa, gli sfruttati che fanno arrivare sulla nostra tavola tutto quello di cui abbiamo bisogno, si raccontano.

  
E’ l’occasione per cambiare i nostri pregiudizi: qualcuna di noi aveva abboccato alla propaganda secondo cui chi arriva qua si mette in concorrenza con i nostri disoccupati e invece le cose non stanno così. Questi uomini e queste donne, già perché più della metà dei lavoratori della terra sono donne, devono subire condizioni di lavoro assurde, umilianti». Due delle volontarie hanno conosciuto da ex braccianti il lavoro della terra: «Condizioni così non le abbiamo viste da noi nemmeno negli anni ’50, è incredibile che oggi si possa tollerare forme di sfruttamento così».
Si incrociano le storie nella mensa sociale per i braccianti, dove da giorni i partecipanti al campo della legalità e dignità di Parete e Santa Maria La Fossa cenano assieme ai lavoranti della terra. Ai fornelli, le volontarie dello Spi di Rovigo prestano la loro opera. Cibi locali, con qualche deroga esotica: questa sera, l’Imam della Moschea di San Marcellino è venuto a dare una mano, si cucina il cous cous. I ragazzi ascoltano le storie dei braccianti. Daniela Argenton, segretaria provinciale dello Spi di Rovigo che capitana la delegazione di volontarie venete, racconta l’emozione del racconto: «Cerchiamo di farli sentire a loro agio, e ascoltiamo le loro storie di sofferenza, di lavoro, di privazione della dignità personale, e anche di solitudine, perché si trovano molto spesso da soli, ad avere a che fare con una realtà difficile, con un mondo del lavoro a noi sconosciuto. E’ l’occasione per cambiare i nostri pregiudizi: qualcuna di noi aveva abboccato alla propaganda secondo cui chi arriva qua si mette in concorrenza con i nostri disoccupati e invece le cose non stanno così. Questi uomini e queste donne, già perché più della metà dei lavoratori della terra sono donne, devono subire condizioni di lavoro assurde, umilianti». Due delle volontarie hanno conosciuto da ex braccianti il lavoro della terra: «Condizioni così non le abbiamo viste da noi nemmeno negli anni ’50, è incredibile che oggi si possa tollerare forme di sfruttamento così».
Dal 2009, Nero e Non solo ha adattato alcuni locali abbandonati nel centro cittadino di Parete, per farne un refettorio che è diventato un punto di riferimento per decine di lavoratori a giornata della zona.
Puoi trovare tra gli ospiti uno come Adel ad esempio. Dopo essere arrivato dalla Tunisia, quasi venti anni fa, e dopo tanti lavori occasionali nelle aziende agricole del Casertano, era riuscito finalmente a trovare un lavoro regolare nell’edilizia a Perugia. «Come tanti, - racconta – ho deciso di andare al Nord per trovare qualcosa di meglio, e per dieci anni è andata bene. Avevo una busta paga, il datore mi pagava i contributi e avevo potuto iscrivermi alla cassa edile. Poi l’azienda ha chiuso i battenti, e ho dovuto decidere se rimanere senza un lavoro, oppure ritornare qui dove la vita è meno cara e puoi trovare qualcosa da fare in campagna». Sono tanti i lavoratori stranieri stagionali, che con la crisi, hanno intrapreso un viaggio a ritroso, fino a ritornare da dove erano partiti. Quanto guadagni Adel? «Trenta euro al giorno se va bene, a volte anche per dieci ore di lavoro. Si comincia alle 5 per la raccolta nei frutteti: fragole, pesche, albicocche. La notte invece, faccio il guardiano nella proprietà del padrone in cambio dell’alloggio. Ovviamente lavoro a nero, qui è raro che ti facciano un contratto». A Villa Literno, ad esempio, ci sono 900 iscritti nell’anagrafe agricola, ma sono almeno il doppio gli irregolari, all’eterna ricerca di un rapporto di lavoro legale.
In Terra di lavoro, come in altri luoghi del Sud in cui è forte la presenza migrante, è sorto negli anni un fiorente mercato dei contratti fasulli. «Un lavoratore arriva a pagare anche migliaia di euro per averne uno – spiega il segretario della Flai-Cgil di Caserta, Tammaro Della Corte –. E’ l’effetto perverso delle nostre leggi balorde sull’immigrazione: se vuoi il permesso di soggiorno, devi avere un contratto. E se vuoi averlo, devi anche pagarti i contributi. Entri in un vortice di illegalità, che nelle sanatorie tocca il livello più alto: tra residenza, ovviamente falsa, contratto e le pratiche per la regolarizzazione, uno straniero può pagare anche 5-6 mila euro». Dai patronati improvvisati ai commercialisti, il mercato del falso ha costruito con il tempo un ceto professionale che sfrutta, in modo criminale, i corti circuiti della legge. Le truffe a carico dei poveri cristi che lavorano la terra diventano la regola. Mohammed, ad esempio, anche lui bracciante, nel 2012 ha inoltrato domanda di sanatoria come collaboratore domestico. Le campagne sono strapiene di persone che al collocamento risultano operatori del commercio, facchini, badanti.
«Avevo speso fino all’ultimo spicciolo per un’assunzione che mi permettesse di ottenere il permesso di soggiorno. Quando però sono andato in questura, ho scoperto che quella persona aveva assunto in modo fittizio, altri 8 collaboratori domestici, mentre la legge ti dà la possibilità di assumerne uno. Risultato? E’ cominciata la mia odissea di irregolare, mentre al padrone non è successo nulla». «Nel 2010 – sottolinea il presidente Nello Zirillo - Nero e non solo porta in Tribunale cinque casi di truffa documentata ad altrettanti immigrati. Ebbene la prima e l’unica audizione si è tenuta nel 2014 dopodiché più nulla. Nel frattempo, alcuni dei lavoratori in causa sono stati rimpatriati».
Come invece rileva Della Corte, gli incontri annuali con la Questura per monitorare e contrastare il fenomeno dello sfruttamento in agricoltura, con tanto di targhe e segnalazioni dei caporali, si concludono nel nulla.
Cambia il volto dell’immigrazione nella Terra dei Mazzoni. I primi ad arrivare da queste parti, trent’anni fa, furono gli africani, quindi i maghrebini. Fu la morte di un rifugiato del Sudafrica – Jerry Masslo – venuto in Italia alla ricerca di libertà, a creare la prima reazione allo sfruttamento. A tre decenni di distanza, la presenza del Continente nero è meno appariscente di una volta ma comunque forte, come quella degli arabi. Con l’apertura delle frontiere, i nuovi sfruttati parlano il rumeno, l’albanese, l’ucraino. Le condizioni di lavoro continuano ad essere terribili. Gabriele, rumeno, arriva ancora impolverato alla mensa, dopo 12 ore di lavoro con il trattore: «Lavoriamo per sopravvivere, e se domani il padrone decide di cacciarti non puoi farci nulla. La verità è che questa non è Europa, quella comincia da Roma in su».
Il 60% con punte dell’80 tra i lavoratori nella raccolta, sono donne. Vivono condizioni di lavoro terribili come racconta questo documentario della Flai Campania. https://www.youtube.com/watch?v=MzJKLOJ45Z0. E’ la nuova frontiera dello sfruttamento. Donne schiave, soggette a qualsiasi tipo di vessazione. La nuova linea della lotta allo schiavitù in agricoltura passa necessariamente da qui, dalla liberazione delle donne che con il loro lavoro, fanno arrivare ogni giorno sulla nostra tavola tutto quello di cui abbiamo bisogno. (2/continua).

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