In due video, la lenta ma inesorabile la riconquista di pezzi di territorio sottratti all’impero economico dei Bidognetti, uno dei clan della camorra più potenti e incontrastati. Giovani volontari che arrivano dalla Lombardia, dall’Emilia, e dalla Toscana, alcuni giovanissimi rifugiati scappati da guerre e dalla cattiva sorte dei loro Paesi e un gruppo di pensionati dello Spi Cgil di Rovigo lavorano per restituire alla comunità ciò che la camorra le aveva tolto.
«Rimasi colpito dal racconto che mi fece un anziano: un tempo la gente di Santa Maria La Fossa attraversava questo fondo rustico, per passeggiare sul fiume – ricorda Mimmo Russo, dell’Associazione “Nero e non solo” -: Poi arrivarono loro, i Bidognetti, e per trent’anni questo pezzo di terra divenne una specie di fortilizio impenetrabile, al di fuori della legge dello Stato, serrato da quattro pesanti sbarre che ne chiudevano l’accesso».
«Sulla carta era un’azienda bufalina - continua Nello Zirillo, presidente
dell’Associazione - nei fatti rappresentava uno dei capisaldi economici che
permettevano ai Casalesi un controllo capillare, totale del territorio. Un
terzo delle terre di Santa Maria, è oggi sotto sequestro per ragioni di mafia,
a dimostrare la forza di penetrazione che il cartello criminale ha avuto su
queste terre». Oggi, di quell’azienda senza regole rimangono solo gli scheletri
della stalla e della sala mungitura. Il Volturno è a poche decine di metri. Il
secondo argine del fiume, costruito per arginare le inondazioni, divide i due
fondi, che ora sono accorpati, sotto la gestione di Nero e non solo. Come
avviene spesso, prima che si giungesse alla confisca definitiva del bene, i
mafiosi e i loro accoliti hanno depredato tutto quello che si poteva portare
via.
Ricomincia da qui, la lenta ma inesorabile riconquista di pezzi di
territorio sottratti all’impero economico di uno dei clan della camorra più
potenti e incontrastati. Sotto il sole implacabile di Terra di lavoro, otto
volontari che arrivano dalla Lombardia, dall’Emilia, e dalla Toscana e alcuni giovanissimi
rifugiati scappati da guerre e dalla cattiva sorte dei loro Paesi, lavorano
senza sosta da ore, per cambiare la vecchia destinazione della vasca dove una
volta si immergevano le bufale, in una nuova area attrezzata per i pic nic.
«Può sembrare quasi uno sberleffo ai vecchi proprietari, ma è la cosa più
semplice che potessimo fare: restituire ai cittadini di Santa Maria la Fossa un
pezzo di vita normale, la possibilità di passeggiare sulla propria terra, dopo
anni di violenza e vessazioni», prosegue Zirillo.
Ridare una vita normale ai residenti, ma anche a chi viene da lontano, alla
ricerca di una nuova vita. Nero e non solo, l’associazione nata negli anni ’80
da un progetto nazionale della Fgci, l’allora Federazione dei giovani comunisti,
sul tema dell’immigrazione, e poi “rinata” negli anni ’90 come realtà locale,
fu tra le prime organizzazioni in Terra di Lavoro a denunciare lo sfruttamento
della manodopera straniera. Nel ‘95, dopo l’incendio del ghetto di Villa
Literno, l’associazione diede vita al primo campo della solidarietà. Nel 2011, prende
in gestione i due fondi limitrofi sul Volturno e la villetta che appartenne
all’amante del boss Bidognetti, in condivisione con altre associazioni. «La sfida
era mettere insieme – racconta Zirillo - il tema dello sfruttamento dei
lavoratori immigrati con la lotta alla camorra. Il sogno è dare una opportunità
di lavoro a chi viene a Caserta in cerca di fortuna, un punto di riferimento
per chi sfugge alla fame e alla miseria».
I volontari sono tutti giovanissimi. «Perché sono qui? Perché – sottolinea Ginevra, 19 anni,
volontaria di Imola – non si può fare finta di niente. La riconquista dei
terreni dei clan ci riguarda, ci stiamo riprendendo quello che appartiene a
tutti. Sono qui anche perché molti ragazzi, come Peppino Impastato, hanno dato
la vita nella lotta alla criminalità organizzata».
Elettra invece viene da Milano e frequenta la Facoltà di Giurisprudenza. «Dopo
averle studiate sui libri, mi sembrava naturale venirle a vedere da vicino le
storie di mafia che leggevo. Ero già stata in Sicilia, qui mi colpisce
l’interscambio che c’è in particolare con i ragazzi rifugiati. In poche ore
siamo diventati amici, sarebbe bello che gli altri vedessero questo, e non le
divisioni o le frontiere».
Il giovane rifugiato Abdul, 18 anni, è arrivato dalla Somalia due anni fa,
a bordo di una di quelle navi rottame che attraversano ogni giorno il canale di
Sicilia. Era il 13 settembre del 2013. Delle circa 400 persone che erano a
bordo, si salvarono dal naufragio, appena in cinquanta. Lo zio di Abdul morì
durante quella traversata.
«Nel mio Paese ho conosciuto solo la guerra, la mia famiglia mi ha convinto
a lasciare la Somalia, per un futuro diverso. Continuano ad essere, nelle
difficoltà, la mia ancora di salvezza. Al campo lavoriamo, ma a me non sembra
di lavorare. Sto con ragazzi della mia età, sono la mia scuola per imparare le
vostre abitudini e la vostra lingua».
Si lavora sodo sotto il sole. Una breve pausa per bere e mangiare un po’ di
frutta e poi si riprende. Mimmo e Francesco danno le direttive, i ragazzi
eseguono solerti. All’ora di pranzo, si lascia il campo, per raggiungere
Parete. All’una, tutti a tavola. Le cinque volontarie dello Spi lavorano da ore
in cucina, efficienti e rapide. Un piatto di pasta al sugo, cipolle in agrodolce,
melenzane alla griglia, formaggi del posto. E’ il momento della convivialità,
che aiuta a raccontarsi. Alle
storie serie che le donne ascoltano attente, seguono pacche sulle spalle e
risate tra i ragazzi. Ma le storie che si raccontano sono a volte di speranza.
Come quella di Meda, che è giunto dal Gambia appena un anno fa, ed è già una
stella del calcio locale, con le squadre del casertano che letteralmente se lo
contendono. Con in testa le prodezze di Pirlo, gioca da mediano nel campionato
Promozione con il Santa Maria Capua a Vetere, ma per velocità e forza viene
spesso e volentieri impiegato sulla fascia. Gran parte dei ragazzi pensano che
Meda farà strada, dopo tutti i chilometri che si è fatto per venire qui, in
questo pezzo di Sud dimenticato.
Si incrociano le storie nella mensa sociale per i braccianti, dove da
giorni i partecipanti al campo della legalità e dignità di Parete e Santa Maria
La Fossa cenano assieme ai lavoranti della terra. Ai fornelli, le volontarie
dello Spi di Rovigo prestano la loro opera. Cibi locali, con qualche deroga
esotica: questa sera, l’Imam della Moschea di San Marcellino è venuto a dare
una mano, si cucina il cous cous. I ragazzi ascoltano le storie dei braccianti.
Daniela Argenton, segretaria provinciale dello Spi di Rovigo che capitana la
delegazione di volontarie venete, racconta l’emozione del racconto: «Cerchiamo
di farli sentire a loro agio, e ascoltiamo le loro storie di sofferenza, di
lavoro, di privazione della dignità personale, e anche di solitudine, perché si
trovano molto spesso da soli, ad avere a che fare con una realtà difficile, con
un mondo del lavoro a noi sconosciuto. E’ l’occasione per cambiare i nostri
pregiudizi: qualcuna di noi aveva abboccato alla propaganda secondo cui chi
arriva qua si mette in concorrenza con i nostri disoccupati e invece le cose
non stanno così. Questi uomini e queste donne, già perché più della metà dei
lavoratori della terra sono donne, devono subire condizioni di lavoro assurde,
umilianti». Due delle volontarie hanno conosciuto da ex braccianti il lavoro
della terra: «Condizioni così non le abbiamo viste da noi nemmeno negli anni
’50, è incredibile che oggi si possa tollerare forme di sfruttamento così».
Dal 2009, Nero e Non solo ha adattato alcuni locali abbandonati nel centro
cittadino di Parete, per farne un refettorio che è diventato un punto di
riferimento per decine di lavoratori a giornata della zona.
Puoi trovare tra gli ospiti uno come Adel ad esempio. Dopo essere arrivato
dalla Tunisia, quasi venti anni fa, e dopo tanti lavori occasionali nelle
aziende agricole del Casertano, era riuscito finalmente a trovare un lavoro
regolare nell’edilizia a Perugia. «Come tanti, - racconta – ho deciso di andare
al Nord per trovare qualcosa di meglio, e per dieci anni è andata bene. Avevo
una busta paga, il datore mi pagava i contributi e avevo potuto iscrivermi alla
cassa edile. Poi l’azienda ha chiuso i battenti, e ho dovuto decidere se
rimanere senza un lavoro, oppure ritornare qui dove la vita è meno cara e puoi
trovare qualcosa da fare in campagna».
Sono tanti i lavoratori stranieri stagionali, che con la crisi, hanno
intrapreso un viaggio a ritroso, fino a ritornare da dove erano partiti. Quanto
guadagni Adel? «Trenta euro al giorno se va bene, a volte anche per dieci ore
di lavoro. Si comincia alle 5 per la raccolta nei frutteti: fragole, pesche,
albicocche. La notte invece, faccio il guardiano nella proprietà del padrone in
cambio dell’alloggio. Ovviamente lavoro a nero, qui è raro che ti facciano un
contratto». A Villa Literno, ad
esempio, ci sono 900 iscritti nell’anagrafe agricola, ma sono almeno il doppio
gli irregolari, all’eterna ricerca di un rapporto di lavoro legale.
Nessun commento:
Posta un commento