lunedì 3 agosto 2015

Mafia, undici arresti a Trapani: presi gli uomini di Messina Denaro

L'ultima immagine di Matteo Messina Denaro, in fuga dal 1993

Colpito il sistema di comunicazione del boss latitante da 22 anni: usava pizzini smistati da una masseria di Mazara del Vallo. Gli inquirenti: «Supporto intorno a Messina denaro sta scemando»
di www.corriere.it

Si stringe il cerchio intorno a Matteo Messina Denaro, il latitante dei latitanti di Cosa nostra. Undici esponenti di vertice delle famiglie di Cosa Nostra trapanese e presunti favoreggiatori del boss sono stati arrestati nell’operazione «Ermes» condotta dalla polizia di Stato e coordinata dalla Procura distrettuale antimafia di Palermo. Gli investigatori hanno colpito il sistema di comunicazioni di Messina Denaro, che come altri capimafia usava i pizzini per dare ordine e gestire gli affari. Il centro di smistamento dei bigliettini era in un casolare nelle campagne di Mazara del Vallo. L’inchiesta è stata condotta dal Procuratore della Repubblica di Palermo Franco Lo Voi, dai sostituti Paolo Guido, Carlo Marzella e dal procuratore aggiunto Teresa Principato.
Consenso in discesa
Arresti e perquisizioni sono stati eseguiti nelle province di Palermo e Trapani da personale delle Squadre Mobili delle due città con il coordinamento del Servizio centrale operativo della polizia di Stato e la partecipazione del Ros dei carabinieri. «Sta scemando il supporto attorno a Messina Denaro», ha detto il procuratore aggiunto di Palermo Teresa Principato, che ha ricordato come dal 2010 siano state arrestate poco meno di 100 persone legate al boss, tra cui anche la sorella. «Siamo alle battute finali», dice ancora Principato in conferenza stampa. «I pizzini, che risalgono a un periodo di tempo dal 2012 a oggi, sono stati usati da Messina Denaro per controllare il territorio attraverso un sistema molto sicuro che vedeva impiegate persone anche di mandamenti diversi, che non erano mai lasciati soli nelle operazioni di raccolta.


I provvedimenti restrittivi riguardano i capi del mandamento di Mazara del Vallo e dei clan di Salemi, Santa Ninfa, Partanna, ritenuti feudi di Messina Denaro. Le indagini, finalizzate a disarticolare la rete che supporta la latitanza del capomafia di Castelvetrano, sono una prosecuzione delle operazioni «Golem» ed «Eden» condotte dalla polizia e dai carabinieri e che hanno portato in cella favoreggiatori e familiari del boss. «Gli arrestati erano per la maggior parte dei pregiudicati, condannati per favoreggiamento», ha detto ancora Principato. «Quelli che vengono ritenuti dei pecorari, sono in realtà i capi mafiosi sul territorio. Territorio che continua a essere battuto: gli arrestati sono stati osservati da anni».

Parlavano con il boss
Gli arrestati sono Vito Gondola, mazarese, 77 anni, Leonardo Agueci, 28 anni, Ugo Di Leonardo, 73 anni, Pietro e Vincenzo Giambalvo, 77 e 38 anni, padre e figlio, Sergio Giglio, 46 anni, Michele Gucciardi, 62 anni, Giovanni Loretta, 43 anni, Giovanni Mattarella,49 anni (genero di Vito Gondola), Giovanni Domenico Scimonelli, 48 anni, Michele Terranova, 46 anni. Un ruolo fondamentale era quello di Vito Gondola, regista dello smistamento dei pizzini che segue la medesima regola emersa nelle altre operazioni antimafia legate al latitante: ogni 15 giorni avviene la comunicazione. I pizzini venivano sotterrati e talvolta eliminati. Una procedura continua fino a fine febbraio 2014 con il pentimento di Lorenzo Cimarosa.
Parole chiave: “concime” e “favino”
Gli inquirenti, che tenevano sotto controllo la zona, hanno accertato che i bigliettini, che erano smistati durante i summit, venivano nascosti sotto terra. Solo al termine delle riunioni i «collettori» li andavano a prendere e li davano ai destinatari. I pizzini erano ripiegati e chiusi con dello scotch. Rigide le regole imposte sulla comunicazione: i messaggi dovevano essere letti e distrutti e le risposte dovevano giungere entro termini prefissati, al massimo 15 giorni. L’indagine è cominciata nel 2011, quando dopo un’operazione di polizia che ha disarticolato la rete dei favoreggiatori, gli uomini d’onore sono stati costretti a riorganizzare la comunicazione. Per convocare i summit gli arrestati, molti dei quali allevatori, utilizzavano termini come “concime” e “favino”, cereali dati in genere ai maiali. Gli scambi dei bigliettini a un certo punto hanno subito un arresto, che gli inquirenti ricollegano a un temporaneo possibile allontanamento di Messina Denaro - il cui nome è presente in alcune conversazioni intercettate - dalla Sicilia. I mafiosi non si riunivano mai all’interno delle masserie ma solo nelle campagne, cosa che ha reso più complicato intercettare le loro conversazioni.
Renzi: «Avanti tutta per l’arresto di Messina Denaro»
«Sono grato a investigatori, forze dell’ordine e a tutti i rappresentanti dello Stato per il colpo inferto all’organizzazione mafiosa con la cattura di molti uomini del giro di Matteo Messina Denaro. Grazie a nome del Governo. E avanti tutta per andare finalmente a catturare anche il boss superlatitante. L’Italia c’è, tutta insieme e tutta unita contro la criminalità organizzata», ha scritto su Facebook il premier Matteo Renzi. «Lo #StatoVince la mafia perde» è invece il commento, via tweet, del ministro dell’Interno Angelino Alfano. «Presi questa mattina vertici di #CosaNostra - scrive ancora Alfano- e presunti favoreggiatori del boss latitante».

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