martedì 11 agosto 2015

Immigrazione e terre confiscate. Storie di riscatto, tra Santa Maria La Fossa e Parete.


«Rimasi colpito dal racconto che mi fece un anziano: un tempo la gente di Santa Maria La Fossa attraversava questo fondo rustico, per passeggiare sul fiume – ricorda Mimmo Russo, dell’Associazione “Nero e non solo” -: Poi arrivarono loro, i Bidognetti, e per trent’anni questo pezzo di terra divenne una specie di fortilizio impenetrabile, al di fuori della legge dello Stato, serrato da quattro pesanti sbarre che ne chiudevano l’accesso».
«Sulla carta era un’azienda bufalina - continua Nello Zerillo, presidente dell’Associazione - nei fatti rappresentava uno dei capisaldi economici che permettevano ai Casalesi un controllo capillare, totale del territorio. Un terzo delle terre di Santa Maria, è oggi sotto sequestro per ragioni di mafia, a dimostrare la forza di penetrazione che il cartello criminale ha avuto su queste terre». Oggi, di quell’azienda senza regole rimangono solo gli scheletri della stalla e della sala mungitura. Il Volturno è a poche decine di metri. Il secondo argine del fiume, costruito per arginare le inondazioni, divide i due fondi, che ora sono accorpati, sotto la gestione di Nero e non solo. Come avviene spesso, prima che si giungesse alla confisca definitiva del bene, i mafiosi e i loro accoliti hanno depredato tutto quello che si poteva portare via.

Ricomincia da qui, la lenta ma inesorabile riconquista di pezzi di territorio sottratti all’impero economico di uno dei clan della camorra più potenti e incontrastati. Sotto il sole implacabile di Terra di lavoro, otto volontari che arrivano dalla Lombardia, dall’Emilia, e dalla Toscana e alcuni giovanissimi rifugiati scappati da guerre e dalla cattiva sorte dei loro Paesi, lavorano senza sosta da ore, per cambiare la vecchia destinazione della vasca dove una volta si immergevano le bufale, in una nuova area attrezzata per i picnic.

«Può sembrare quasi uno sberleffo ai vecchi proprietari, ma è la cosa più semplice che potessimo fare: restituire ai cittadini di Santa Maria la Fossa un pezzo di vita normale, la possibilità di passeggiare sulla propria terra, dopo anni di violenza e vessazioni», prosegue Zerillo.

Ridare una vita normale ai residenti, ma anche a chi viene da lontano, alla ricerca di una nuova vita. Nero e non solo, l’associazione nata negli anni ’80 da un progetto nazionale della Fgci, l’allora Federazione dei giovani comunisti, sul tema dell’immigrazione, e poi “rinata” negli anni ’90 come realtà locale, fu tra le prime organizzazioni in Terra di Lavoro a denunciare lo sfruttamento della manodopera straniera. Nel ‘95, dopo l’incendio del ghetto di Villa Literno, l’associazione diede vita al primo campo della solidarietà. Nel 2011, prende in gestione i due fondi limitrofi sul Volturno e la villetta che appartenne all’amante del boss Bidognetti, in condivisione con altre associazioni. «La sfida era mettere insieme – racconta Zerillo - il tema dello sfruttamento dei lavoratori immigrati con la lotta alla camorra. Il sogno è dare una opportunità di lavoro a chi viene a Caserta in cerca di fortuna, un punto di riferimento per chi sfugge alla fame e alla miseria».

I volontari sono tutti giovanissimi. «Perché sono qui? Perché – sottolinea Ginevra, 19 anni, volontaria di Imola – non si può fare finta di niente. La riconquista dei terreni dei clan ci riguarda, ci stiamo riprendendo quello che appartiene a tutti. Sono qui anche perché molti ragazzi, come Peppino Impastato, hanno dato la vita nella lotta alla criminalità organizzata».

Elettra invece viene da Milano e frequenta la Facoltà di Giurisprudenza. «Dopo averle studiate sui libri, mi sembrava naturale venirle a vedere da vicino le storie di mafia che leggevo. Ero già stata in Sicilia, qui mi colpisce l’interscambio che c’è in particolare con i ragazzi rifugiati. In poche ore siamo diventati amici, sarebbe bello che gli altri vedessero questo, e non le divisioni o le frontiere».

Il giovane rifugiato Abdul, 18 anni, è arrivato dalla Somalia due anni fa, a bordo di una di quelle navi rottame che attraversano ogni giorno il canale di Sicilia. Era il 13 settembre del 2013. Delle circa 400 persone che erano a bordo, si salvarono dal naufragio, appena in cinquanta. Lo zio di Abdul morì durante quella traversata.

«Nel mio Paese ho conosciuto solo la guerra, la mia famiglia mi ha convinto a lasciare la Somalia, per un futuro diverso. Continuano ad essere, nelle difficoltà, la mia ancora di salvezza. Al campo lavoriamo, ma a me non sembra di lavorare. Sto con ragazzi della mia età, sono la mia scuola per imparare le vostre abitudini e la vostra lingua».

Si lavora sodo sotto il sole. Una breve pausa per bere e mangiare un po’ di frutta e poi si riprende. Mimmo e Francesco danno le direttive, i ragazzi eseguono solerti. All’ora di pranzo, si lascia il campo, per raggiungere Parete. All’una, tutti a tavola. Le cinque volontarie dello Spi lavorano da ore in cucina, efficienti e rapide. Un piatto di pasta al sugo, cipolle in agrodolce, melenzane alla griglia, formaggi del posto. E’ il momento della convivialità, che aiuta a raccontarsi. Alle storie serie che le donne ascoltano attente, seguono pacche sulle spalle e risate tra i ragazzi. Ma le storie che si raccontano sono a volte di speranza. Come quella di Meda, che è giunto dal Gambia appena un anno fa, ed è già una stella del calcio locale, con le squadre del casertano che letteralmente se lo contendono. Con in testa le prodezze di Pirlo, gioca da mediano nel campionato Eccellenza con il Santa Maria La Fossa, ma per velocità e forza viene spesso e volentieri impiegato sulla fascia. Gran parte dei ragazzi pensano che Meda farà strada, dopo tutti i chilometri che si è fatto per venire qui, in questo pezzo di Sud dimenticato. (1-continua)


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