Nel fondo di confiscato di Santa Maria La Fossa gestito dall’associazione, dove i Bidognetti e gli Schiavone dettavano legge, oggi si lavora una vera e propria intrapresa che potrebbe dare presto i suoi frutti.
di Antonio Fico
“Eravamo
alla ricerca di un’idea nuova che potesse avere una ricaduta economica di un
certo tipo. Abbiamo raccolto informazioni, studiato ed eccoci qua: a marzo, se
tutto fila liscio, le nostre lumache andranno sulla tavola dei clienti di
alcuni ristoranti della zona”.
Aniello
Zerillo non nasconde la soddisfazione, anche perché finalmente le trentamila
lumache vive ordinate all’Istituto internazionale di elicicoltura di Cherasco,
sono nei filari per l’accoppiamento.
L’anno
scorso un incendio doloso alla pompa di irrigazione per mano di ignoti, ha
costretto a ritardare di molti mesi i lavori, fino a renderli impossibili
nell’anno in corso. Quest’anno però la musica è diversa.
Nel
fondo di confiscato di Santa Maria La Fossa gestito dall’associazione, dove i
Bidognetti e gli Schiavone dettavano legge, oggi si lavora una vera e propria
intrapresa che potrebbe dare presto i suoi frutti. Dei 22 mila euro necessari
per far partire l’allevamento i, 12 mila arrivano dal progetto Mares, l’
organizzazione che raccoglie le realtà che gestiscono i beni confiscati. Si
spera di recuperarne una buona parte già nella primavera prossima. Fondamentale
l’aiuto dell’Istituto di Cherasco, che oltre ad aver formato gli operatori,
offrirà assistenza tecnica per i prossimi 3 anni e si è impegnato a comprare
l’invenduto.
“Nero
e non solo” raccoglie la sfida lanciata da Gianni Allucci direttore di
Agrorinasce: abbiamo bisogno ora di
creare attività che diano occupazione, in un terra che ha perso solo negli
ultimi anni 300 aziende e dove la camorra prospera se non ci sono speranze
(link all’intervista).
Si lavora alacremente sotto il solleone
di agosto.
Questa
settimana è il turno di un gruppo parrocchiale, il San Pio X, proveniente da
Modena. Simone, Francesco, Giulio e Stefano sono gli educatori che guidano
ragazzi giovanissimi che dall’Emilia arrivano per dare solidarietà a chi si dà
da fare per rialzare dalla polvere il nome di una terra schiacciata per troppi
anni da un dominio incontrastato del malaffare. Il lavoro di queste ultime
settimane è stato concentrato sulla costruzione dei filari e delle recinzioni
per l’area di ingrassaggio per le lumache.
Una
parte dei ragazzi lavora a impeciare a colpi di pennello i pali di sostegno.
“Quando
arrivi qui, lo fai con tanti pregiudizi – racconta Simone, 40 anni,
sposato – e devo dire che un po’
ne rimangono anche dopo. Oramai sappiamo che la mafia riguarda anche l’Emilia.
L’unica differenza è che qui l’impatto della criminalità è evidente, sfacciato.
Questa esperienza conclude un percorso che abbiamo fatto in collaborazione con
Libera, lungo quest’anno sulle mafie”.
Francesco,
26 anni, è stato un disegnatore meccanico per alcuni anni. Poi ha deciso di mollare
questo lavoro e ritornare alla sua vera passione, quella dell’educatore e di
riprendere gli studi a Scienze della Formazione: “La camorra – sostiene – vince
quando le persone hanno paura, e qui di paura ne vedo poca. Io penso che per
chi è lontano il compito maggiore sia quello di sostenere le reti che si
costruiscono tra persone e organizzazioni sane, con l’impegno e il lavoro”.
Con
i 15 ragazzi del gruppo parrocchiale, al campo sono presenti tre ragazzi stranieri giunti da Grecia,
Bulgaria e Spagna a Caserta grazie all’impegno dell’associazione Giosef,
acronimo che sta per “giovani senza frontiere”, che cura numerosi progetti
nell’ambito del progetto europeo di mobilità giovanile (ma non solo) Erasmus
Plus. Tra i più significativi, l’ostello che ospita i ragazzi e i meeting
internazionali che contribuiscono a quello scambio culturale e di esperienze
così necessario per cementare una Europa unita.
Maria,
greca, conosce già l’Italia perché qui ha fatto l’Erasmus: “Vengo da Salonicco
e a Caserta mi è sembrato di rivedere alcune situazioni che sono presenti anche
da me, come i seri problemi nella raccolta dei rifiuti. Perché qui? Per aiutare
le persone in difficoltà”. David, andaluso, ritiene che il progetto
internazionale possa essere utile a mettere insieme esperienze utili anche in
futuro a trovare un lavoro, perché no proprio in campo umanitario.
Intanto
Zerillo ripassa i compiti della giornata, tra cui irrigare i filari. “Le
lumache appartengono alla nostra tradizione culinaria e sono molto ricercate in
altri Paesi come la Francia, dove però non esistono allevamenti. Nel nostro
Paese, l’80 per cento della domanda viene importata. Credo che questa impresa
può avere un concreto successo, perché vi è domanda ma non offerta”.
L’altra
sogno di Zerillo è quello, una volta trovato uno sbocco nel settore della
ristorazione, di cercare finanziamenti per comprare una macchina capace di
ricavare dalle lumache anche la bava, che è un potente prodotto per la cura
della pelle.
“Costa 30-40 mila euro, per ora non
possiamo permettercela, ma chissà, con l’attività avviata possiamo farci un
pensiero serio”.
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