giovedì 7 settembre 2017

Baia Verde (Villaliterno, Caserta). Una sartoria contro lo sfruttamento dei migranti


Cuce alla macchina con maestria Bose, quindi  riassetta i tessuti di foggia africana, messi una sopra l’altro, sul grande tavolo al centro della sala. “Questo viene dal Mozambico, invece quest’altro così elegante arriva dal mio Paese, dalla Nigeria”, racconta con un turbante con varie tonalità di arancio sulla testa, e un abito in pizzo bianco, secondo la moda nigeriana.
Come le altre donne della sartoria sociale “Made in Volturno”, Bose ha una storia difficile alle spalle, ma anche la determinazione di guardare avanti, al futuro. E’ stata lei ad insegnare “l’arte dei sarti” a Morin, a Pat, a Esma. E’ un’arte antica. Raccontano che in Africa ci sono dei modellisti che possono farti un vestito su commissione in un solo giorno. Quest’arte, ora, è al servizio del riscatto civile. “La sartoria dà lavoro a quattro persone, ma speriamo in futuro di occuparne di più”, spiega la 24enne Clelia Carnevale, nuova coordinatrice della sartoria.
“E’ un progetto a cui crediamo molto, e che siamo sicuri è in grado di dare lavoro e reddito a più persone. In questo contesto non è facile, ma ce la possiamo fare”. 

Siamo a Baiaverde, desolata porzione di litorale, che ricade nel comune di Castelvolturno, in provincia di Caserta. La villa che una volta apparteneva a Pupetta Maresca, figura di spicco della camorra pre-cutoliana, oggi si chiama “La Casa di Alice”.
Come altri beni confiscati, non era sfuggita al “saccheggio” e al degrado, ma è rinata a partire dal 1997 (anno dell’assegnazione del bene) sotto la bandiera di Libera. Oggi ospita l’associazione “Jerry Masslo”, fondata dal medico e sindaco di Casal di Principe Renato Natale alla fine degli anni ‘80 e la Cooperativa “Altri Orizzonti” che gestisce la sartoria. “Si tratta di due organizzazioni gemelle – spiega Alessandro Buffardi, presidente -, nel senso che gli iscritti all’associazione lo sono anche alla cooperativa, ma con compiti molto diversi: la prima si occupa degli immigrati vittime della tratta, di minori e di persone svantaggiate con dipendenze o handicap sotto l’aspetto sanitario e sociale, attraverso le unità di strada e gli ambulatori, e in collaborazione con le Asl. La cooperativa fondata nel 2010, ha come funzione prevalente quella del reinserimento lavorativo di questi soggetti. Oggi conta 16 soci lavoratori”.
Da settimane alla villa si alternano ragazzi arrivati dalla Liguria, dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Lombardia, dal Piemonte e dal Lazio nell’ambito di “Estate Liberi”. E’ uno dei campi a cui partecipa anche lo Spi Cgil. Il tema di questa settimana è la corruzione e lo smaltimento illegale dei rifiuti.

Una sartoria contro lo sfruttamento dei migranti
La sartoria apre ufficialmente i battenti nel 2011, sostenuta da un finanziamento di Unicredit che ha creduto nel progetto. “Fin dall’ inizio lo scopo è stato quello di saldare al tema etico della lotta allo sfruttamento, una possibilità concreta di occupazione per le donne italiane ed immigrate”, spiega Alessandro.
Da gennaio ‘a capo’ della sartoria”, dopo le volontarie che avevano dato vita e animato l’iniziativa nei sei anni precedenti, c’è Clelia arrivata qui con in tasca una laurea in Moda all’Accademia delle Belle Arti di Napoli e un corso di imprenditoria.
 “E’ un’esperienza di cui mi sono innamorata quasi subito, il mondo della moda è un po’ bruttino, qui invece ci capiamo al volo, c’è il modo di vivere diversamente la passione per la moda”. 
L’iniziativa è stata molto appoggiata dal mondo dell’associazionismo antimafia, ed oggi la sartoria è conosciuta in tutta Italia anche perché, tra le altre cose,  realizza i fiocchi  del pacco anti-camorra. “La nostra ambizione – continua Clelia - è ora quella di arrivare anche ai ‘civili’, alla persona comune, per consolidare la sartoria anche dal punto di vista del mercato”.   
Per giungere a questo obiettivo, le sarte stanno lavorando a un restyling di buona parte dei prodotti delle tre linee di produzione: vestiti, prodotti per la casa, borse e accessori.
Il primo banco di prova sarà la sfilata per un premio letterario in programma a settembre, che segue le molte realizzate in questi anni.     
I bei capi e accessori, nei vivi colori della tradizione africana rivisitati in chiave moderna, sono visitabili sul sito  www.madeincastelvolturno.com che funge anche da shop online. “La progettazione? Diciamo che sui nuovi capi lavoro io al carta-modello, ma in realtà il lavoro di ideazione è molto più complesso, corale per certi aspetti”. 
“Troviamo il tempo anche per una risata – sottolinea Pat, nigeriana da 10 anni in Italia -; la nostra sfida non è ancora vinta, ma siamo sicure che presto questa realtà si reggerà sulle sue gambe”. 
La sartoria può contare su alcuni negozi che prendono in conto-vendita i prodotti a Napoli, Bologna, Palermo, e da qualche mese la sartoria, sta cambiando i propri fornitori, con l’obiettivo di fare rete con quelli presenti sul territorio.


Le voci di fuori. I volontari
Perché qui? “Tocchiamo ogni giorno con mano la corruzione – spiega Mario, medico di 29 anni arrivato da Genova -  Io sono uno specializzando in pediatria, e posso documentare le pressioni delle case farmaceutiche sui medici, che vengono corteggiati con convegni in luoghi esclusivi e prebende di ogni tipo per far passare un farmaco. Accade anche a me che sono l’ultima ruota del carro.
Ecco penso che se si vogliono battere certi fenomeni, non bisogna stancarsi di fare rete, di fare fronte comune”. 
Sara, 23 anni, è una studentessa in Ingegneria gestionale al Politecnico di Milano. Studia l’impatto ambientale e sociale delle organizzazioni e delle imprese economiche : “Le uniche cose che sapevo su Castelvolturno erano ricavato dai giornali e dai film, come Gomorra. Venire qui è diverso, è tutto più vero: sono rimasta colpita dal degrado della zona, vedere le case in rovina e la spazzatura dappertutto, cose inimmaginabili da noi. Ma questo non vuol dire che la mafia non esiste da noi, anzi. Mi hanno colpito anche le persone che sono impegnate in tutto questo, ci vuole molto coraggio”. Chiara, 21 anni, è di Lecco e studia Comunicazione e società presso la facoltà di Scienze politiche: “Siamo ragazzi che provengono da città e ambienti diversi, mi ha impressionato favorevolmente il fatto che ci siamo subito integrati. All’inizio non sapevo cosa aspettarmi: è una realtà dura, ma è bello vedere persone che fanno qualcosa per cambiare la situazione”.

Le voci di fuori. Lo Spi umbro a Castelvolturno.
“E’ un progetto molto importante, in un territorio difficilissimo, Penso sia significativo che qui ci sia una proposta per il lavoro e per l’occupazione, che dà un senso maggiore, se vogliamo, all’uso di un bene confiscato. Da questo punto di vista, spero in una riforma della legge che permetta di sostenere le attività produttive confiscate, che si perdono nelle pastoie burocratiche e nei tempi troppo lunghi tra sequestro e confisca”. A dirlo è la segretaria dello Spi Umbria, Lucia Rossi in visita al campo di Castelvolturno.
“Quello che sembra mancare è l’appoggio e la solidarietà delle istituzioni, e anche della società civile. E’ un fatto che ho riscontrato non solo qui, ma anche ad esempio nella mia regione”.    




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