Caseifici, agriturismi, hotel, studi radiofonici, cooperative, aziende agricole, ristoranti e caffè: i luoghi della criminalità organizzata strappati ai boss oggi sono posti dove si lavora. Ma si potrebbe fare di più se anche la politica facesse la sua parte.
Pio La Torre, da sindacalista, difese i contadini siciliani dalle malversazioni dei latifondisti e la violenza della mafia. Da deputato del Pci presentò una proposta di legge per introdurre un nuovo reato nel codice penale: l’associazione di stampo mafioso. Il 30 aprile 1982, a Palermo, l’auto di La Torre fu crivellata dai proiettili di un commando di Cosa nostra. Per lui e per il suo autista Rosario Di Salvo non ci fu scampo. Ma quelle norme per cui si era speso da parlamentare, unite a un disegno di legge presentato dall’allora ministro Virginio Rognoni, confluirono nella legge 646 del 1982. Così, l’affiliazione mafiosa divenne un delitto accertabile nelle aule di giustizia, mentre fu affinata la disciplina speciale per la confisca dei beni riconducibili ai boss. Nel 1996, poi, fu la volta della legge 109 sul riutilizzo sociale dei patrimoni confiscati ai mafiosi.
Oggi sono oltre 40 mila quelli definitivamente tornati nella disponibilità dello Stato, tra procedimenti di prevenzione e penali. Beni che valgono circa 25 miliardi. Dopo 35 anni, però, la legislazione antimafia italiana si poggia ancora sulle fondamenta della legge 646 che, nonostante varie lacune, rappresenta un modello unico a livello internazionale. Nel 2011 poi, è stato approvato il Codice antimafia che riunisce gran parte delle norme dedicate alla criminalità organizzata. Uno sforzo apprezzabile, ma insufficiente. Perciò, nel novembre 2015, la Camera ha varato una riforma mirata a velocizzare i procedimenti di confisca, a estendere questa misura di prevenzione ai reati contro la pubblica amministrazione e riorganizzare l’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, ponendola sotto la vigilanza della presidenza del Consiglio. Regole di trasparenza, poi, sono fissate per gli amministratori giudiziari che gestiscono i patrimoni sequestrati, con obbligo di rotazione e divieto di cumulare più di tre incarichi. Dal 2015, però, il testo è bloccato al Senato. «È ingiustificabile che su questo, il Parlamento ancora traccheggi – protesta Giuseppe Massafra della Cgil –. Abbiamo proposto che la legge venga approvata al Senato senza tener conto degli emendamenti presentati. Non è più ammissibile che su temi come quello del contrasto alla mafia si debba ancora assistere a una simile perdita di tempo».
Campi e laboratori antimafia 2017. Dal 2004 lo Spi Cgil partecipa ai campi e ai laboratori della legalità promossi da Arci e da Libera nei terreni e nei beni confiscati alle mafie. «È il nostro impegno insieme a quello di tanti ragazzi e ragazze – spiega Lucia Rossi – per sostenere le cooperative di giovani e le realtà produttive che rappresentano una risposta concreta alla mafiosità. Con la nostra partecipazione ai campi e ai laboratori intendiamo proseguire sulla strada indicata da Pio la Torre e da quelle donne e quegli uomini che non sono rimasti indifferenti davanti allo strapotere delle cosche mafiose».
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