Dal 22 al 29
Agosto 2016 Michele ed Anna dello Spi-Cgil Basilicata hanno fatto un’esperienza
nei campi della legalità di Polistena (RC). L’esperienza, voluta e
sponsorizzata in primis dalla segreteria regionale dello Spi Basilicata e
specificatamente dal segretario regionale Donato Allegretti, ce la raccontano
in breve i due protagonisti.
Abbiamo
cominciato a ricevere il mensile “LiberEtà” per la prima volta qualche anno fa
e, tra vari articoli di cultura e di informazione molto interessanti e dal
linguaggio accessibile, ci aveva colpito ed entusiasmato quello riguardante i
campi di lavoro antimafia, sparsi un po’ per la penisola e aperti alla
partecipazione di quanti avvertono la preoccupante presenza del fenomeno
mafioso, giovani ed anziani. Al tal proposito lo Spi-Cgil ha fatto propria la
necessità di combattere la criminalità organizzata che sta non solo inquinando
pezzi dell’economia nazionale ma anche disgregando il tessuto sociale del Paese
attraverso la diffusione di disvalori come la corruzione; di contrastarla
soprattutto sul piano culturale affermando valori come la solidarietà, la
condivisione di atteggiamenti, idee e percorsi responsabili, l’impegno
consapevole, la trasparenza. Valori che abbiamo visto concretizzarsi nella
bella realtà dei campi di lavoro della piana di Gioia Tauro e in quella del
palazzo di Libera, confiscato a una famiglia mafiosa e ristrutturato, nella
cittadina Polistena (RC). In
queste realtà il lavoro e la vita stessa si svolgono in linea con l’attenzione
rispettosa, il dialogo costruttivo e la collaborazione fattiva di ciascuno nei
confronti degli altri.
Il primo
incontro è avvenuto la sera di lunedì 22 con la presentazione del programma di
tutto il campo, la distribuzione delle magliette e cappelli da parte di Libera
e dello Spi Cgil e la cena di “gala” (sic!!!) offerta dalla comunità
parrocchiale di Don Pino Demasi.
I campi sono
gestiti e curati dalla Cooperativa sociale “Valle del Marro” associata al
consorzio “Libere Terre” di Libera. In alcuni crescono ulivi secolari, in altri
giovani ulivi piantati un paio di anni fa, altri campi ancora sono agrumeti,
kiweti, vigneti e vi è uno coltivato a peperoncino per la produzione della
famosa ‘nduja calabrese artigianale. Sono campi curati, belli a vedersi, con
alberi dalle foglie di un verde splendente, dai frutti già formati, anche se
non maturi, campi che dopo essere stati incendiati e devastati per ritorsione
mafiosa, sono rinati, hanno cambiato volto e assumono quello nuovo della
fatica, della legalità, dell’amore per la terra.
Il palazzo di Libera
è una struttura di quattro piani in cui operano al piano terra l’associazione
“Padre Don Pino Puglisi”, al secondo piano il Poliambulatorio di Emergency che
nella disposizione dei locali, nell’arredo, nei colori e nella bella mostra di
sé che fanno gli articoli 11 e 32 della Costituzione,
comunica un senso di bellezza e di cura che costituisce il primo segno di
accoglienza e di rispetto per gli “ultimi”.
Al terzo piano è
sistemato un ostello per giovani volontari, completo di cucina e sala da
pranzo. Se le braccia sono i volontari, la mente è sicuramente Don Pino Demasi,
parroco del Duomo di Polistena e referente di Libera nella piana che con la sua
energia riesce a coinvolgere
giovani e famiglie in progetti di cambiamento. Nel palazzo confiscato tutti i
giorni dalle 17 alle 20 avvengono incontri di formazione per giovani e meno
giovani. L’organizzazione dei campi e della formazione è curata con estrema
meticolosità, bravura e sensibilità da un socio della cooperativa “Valle del
Marro”, Antonio Napoli. Noi due abbiamo fatto parte di un gruppo di ventitré
persone, cinque pensionati dello Spi (tre lombardi, Luigi, Luisa, Ernesto e due
lucani, Anna e Michele, noi due per la prima volta impegnati in questa
esperienza), otto ragazze del collegio “Santa Caterina da Siena” di Pavia, otto
ragazzi scout di Ravenna e infine due reporter francesi, impegnati a girare per
tutti i campi confiscati per produrre scritti e filmati per conto di “Le Monde
Diplomatique”. A causa dei lavori di sistemazione al quarto piano del palazzo,
noi cinque pensionati abbiamo dovuto alloggiare all’hotel Mommo di Polistena.
Tutti i giorni,
ore 6.30 la sveglia, ore 7 la colazione quindi a piedi si andava nella
struttura di Libera dove ci aspettava un bus, non proprio nuovo, della
cooperativa e si partiva per i campi. Dopo circa tre ore di lavoro, in cui si
diserbava a mano il terreno sotto ciascun albero, lavoro intervallato da mini
pause, si rientrava al palazzo per il pranzo preparato in mattinata da alcune
donne della parrocchia di Don Pino. Ai ragazzi toccava poi, a gruppi di quattro
e a turni stabiliti, sparecchiare e rigovernare la cucina (attività che veniva
replicata anche a cena conclusa). Alle 17 nella sala attrezzata di Libera, al
secondo piano, iniziava l’attività di formazione che non ci stancava mai, ci
prendeva, ci rendeva ansiosi di sapere, di approfondire. Ascoltare giornalisti
sotto scorta, familiari di vittime innocenti di ‘ndrangheta, colpevoli soltanto
di aver tenuto la testa alta alle intimidazioni e ai soprusi del soggetti
mafiosi, magistrati, alti funzionari delle forze dell’ordine, polizia di stato,
carabinieri, guardia di finanza, polizia ambientale, impegnati tutti in prima
linea nel contrasto alla ‘ndrangheta ci emozionava e indignava molto, ancor di
più quando leggevamo sui volti dei ragazzi stupore, interesse, voglia di
chiedere, di sapere.
Il penultimo
giorno della permanenza a Polistena abbiamo visitato l’Aspromonte, la montagna
calabrese teatro di 169 rapimenti avvenuti nell’arco di un decennio. Ci hanno
accompagnato gli uomini del Corpo Forestale dello Stato e la guida dell’Ente
Parco Aspromonte. Questi ci ha parlato dell’origine geologica di queste alture
e ci ha fatto un excursus storico-geografico delle vicende che hanno
interessato questa parte della Calabria. L’Aspromonte è un territorio
verdissimo, lussureggiante, spettacolare nei suoi dirupi, nelle sue profondità
e ricchissimo dal punto di vista della biodiversità. Abbiamo vissuto un momento
straordinario quando la guida ci ha fatto una lezione di archeologia
sperimentale con la ricostruzione di manufatti e la raccolta di prodotti tipici
dei vari luoghi e dei vari periodi, a cominciare dal Paleolitico fino ai tempi
più recenti. Ci ha fatto assistere quasi “di persona” alla evoluzione dell’uomo
nella sua capacità di ragionare, di inventare, di realizzare ciò di cui aveva
bisogno sfruttando la sua intelligenza, compiendo un passo dopo l’altro e
procedendo per tentativi ed errori. Gli oggetti e gli strumenti che l’uomo
primitivo si è costruito per soddisfare le sue necessità, li abbiamo visti
realizzarsi coi nostri occhi nelle mani della guida. Momento toccante durante
l’escursione sull’Aspromonte è stato quando, arrivati in un’area che è incrocio
di direzioni diverse, ci siamo avvicinati alla balaustra che recinge un’aiuola
fiorita con al centro una scultura di Cristo Crocifisso. A questa balaustra si
incatenò “Mamma Coraggio”, la signora Casella, per invocare la liberazione del
figlio sequestrato da circa due anni.
Domenica, ultimo
giorno, per la gioia dei più giovani siamo stati al mare a Gioiosa Jonica.
Emozionante, alla fine della permanenza è stato il momento del commiato quando,
dopo i saluti, gli abbracci e qualche lacrimuccia, ognuno è partito per la
propria destinazione con la convinzione di aver fatto un’esperienza importante
dal punto di vista intellettuale, civile e umano da consigliare a giovani e
meno giovani e per la quale ringraziamo profondamente lo Spi perché promuovendo
e sponsorizzando questi progetti si allarghi sempre più la rete delle legalità
e della solidarietà.
Anna e Michele
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