giovedì 4 agosto 2016

Rosarno. Dalla tendopoli al campo antimafia per costruire bellezza e legalità


Restituire un po' di bellezza a Rosarno. Con questa idea sono stati organizzati i campi della legalità nella cittadina calabrese, ormai drammaticamente famosa per la rivolta dei migranti del 2010. Una questione ancora aperta da queste parti, un problema che si aggiunge (o meglio, aggrava) quello della presenza della criminalità organizzata.
di Rosanna Grano


È il primo anno che a partecipare, insieme con l’Arci, c’è anche lo Spi Cgil. “Un segnale importante”, commenta Giuseppe Carrozza, direttore di Terre del Sud, il consorzio a cui è stato dato in gestione un terreno confiscato alla famiglia Bellocco e sul quale hanno lavorato i volontari dello Spi Bologna e un gruppo di scout arrivati da Verona. Quasi due ettari di terreno, ai lati del quale scorre il fiume Mesima, che diventeranno un Parco Fluviale, un posto bellissimo a cui avrà accesso tutta la popolazione di Rosarno.

E in effetti, di bellezza da queste parti c’è davvero bisogno. Per arrivare al terreno confiscato si fa un po’ di fatica. Si percorre per qualche chilometro una strada sterrata, piena di buche. Ma la situazione non migliora rientrando in città, dove i volontari alloggiano nel periodo di permanenza per i campi. “Rosarno non è bella, è inutile nasconderlo – ha ammesso in un incontro formativo Francesco Bonelli, ex assessore comunale con la giunta di Elisabetta Tripodi - . Abbiamo cercato con la nostra amministrazione di affrontare il problema, in qualche maniera legato alla presenza di mafia e di mentalità mafiosa. L’idea era quella di dare nuova vita alla città anche coinvolgendo giovani artisti. Purtroppo, non abbiamo avuto il tempo di portare avanti il progetto”.

Ma tra i tanti problemi che ha Rosarno, davvero è utile parlare di bellezza? A quanto pare
sì. Perché nei giorni dei campi, quasi tutti – volontari, esperti chiamati a parlare, organizzatori – hanno tirato fuori, ognuno a proprio modo e in momenti diversi, la questione dell’estetica decaduta, o mai veramente curata, della città.

Perché? Giovanni Doria, capo scout del gruppo Rover di Verona, si è fatto un’idea. “Sembra che da queste parti le persone non abbiano rispetto nei confronti delle cose che hanno o che costruiscono. Spendono magari tanti soldi per rimettere a nuovo una struttura quando avrebbero potuto spendere molto meno se si fossero preoccupati della sua manutenzione. È come se non fossero interessati alla sua cura, perché tanto non c’è speranza per nulla”.

Rassegnazione, dunque. Alla quale qualcuno invece non si abbandona. Il progetto del Parco Fluviale ne è un esempio. Queste persone, che arrivano da posti lontanissimi e che sotto il sole raccolgono rifiuti, puliscono il canneto, dipingono pneumatici che diventeranno dondole, ne sono un esempio. Gli organizzatori dei campi, che ogni anno si spendono per ideare programmi sempre più nuovi e stimolanti, ne sono un esempio. “Ancora però – osserva Nicola Di Lucchio, dello Spi di Bologna – non basta. Perché non c’è partecipazione dei rosarnesi. Mi sarebbe piaciuto incontrare qualche ragazzo del posto, mi sarebbe piaciuto che fosse venuto con noi sui campi a vedere cosa stiamo realizzando. Avrebbe potuto incontrare Asif Shamzad, l’operaio pakistano del consorzio, che è arrivato come tanti altri da lontano, sui barconi, e che qui è riuscito a inserirsi. Sta lavorando sodo per riqualificare un posto che fino a poco tempo fa era nelle mani della ‘ndrangheta. Un terreno meraviglioso, che era diventato una discarica abusiva e che grazie anche al suo lavoro potrà diventare un luogo di aggregazione. E di bellezza”.

E non si abbandonano alla rassegnazione neanche i compagni dello Spi calabrese, che ogni anno cercano di investire sempre di più nell’esperienza dei campi. “Siamo convinti – ha commentato Salvatore Lacopo, coordinatore Spi regionale, dipartimento legalità – che il sindacato debba avere un ruolo attivo e partecipativo. Quest’anno agli altri tre campi, quelli di Polistena, Isola Capo Rizzuto e Riace, abbiamo aggiunto quello di Rosarno. Consolidando così il già ottimo rapporto con l’Arci. Sì, c’è ancora molto da fare. Chi arriva entra a contatto con situazioni difficili per un verso, ma molto virtuose per l’altro. A Rosarno i partecipanti hanno potuto visitare la tendopoli, lavorare sui campi, incontrare familiari di vittime di ‘ndrangheta. Conoscere calabresi che con fatica combattono, giorno dopo giorno. Non è ancora abbastanza, ma è un segnale importante e significativo. Solo insieme le persone che vogliono cambiare la società e renderla più giusta e più bella possono farlo”.

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