Presi gli assassini del piccolo Nicola Campolongo. Usato come scudo per difendersi dalla 'ndrangheta. (www.lettera43.it)
La sua storia aveva commosso l'Italia. Il piccolo Cocò, all'anagrafe Nicola Campolongo, era stato barbaramente ucciso prima di essere bruciato assieme al nonno e alla compagna di quest'ultimo nelle campagne di Cassano Ionio, il 16 gennaio 2014.
DUE ARRESTI. Ora, a distanza di oltre un anno e mezzo, una svolta nelle indagini ha condotto all'arresto dei due presunti assassini, Cosimo Donato e Faustino Campilongo, esponenti dei clan della zona di Sibari. L'operazione è stata portata a termine dai carabinieri del Ros e da quelli del comando provinciale di Cosenza, che hanno dato esecuzione a un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, richiesta dalla procura distrettuale antimafia di Catanzaro.
GIÀ DETENUTI. I due devono rispondere del triplice omicidio di Giuseppe Iannicelli, 52 anni, della compagna marocchina Ibtissam Touss, di 27, e - appunto - del nipotino dell'uomo, Nicola Campolongo, di appena tre anni. Entrambi erano già detenuti perché arrestati per traffico di droga nel 2014 sempre dai carabinieri di Cosenza, in un'indagine sulla 'cosca degli zingari'.
Uccisi a bruciapelo e poi bruciati
I cadaveri furono trovati carbonizzati all'interno della Fiat Punto di proprietà di Ianniceli. Ben presto le indagini accertarono che i tre erano stati uccisi con diversi colpi di pistola, prima che i loro corpi venissero bruciati.
UCCISI A BRUCIAPELO. I due killer a bordo di un'utilitaria avrebbero affiancato l'auto di Iannicelli in giro per Cassano e l'avrebbero costretto a seguirli.
Una volta raggiunto uno spiazzo in una zona di campagna, i due avrebbero sparato a bruciapelo alla testa dell'uomo e della sua compagna: poi, dopo aver ucciso anche il bambino seduto dietro, avrebbero dato fuoco ai tre corpi.
Conti in sospeso con la 'ndrangheta
Le indagini, hanno spiegano gli investigatori, «oltre a ricostruire il triplice omicidio sin dalle sue fasi preparatorie, hanno consentito di individuare il movente, documentare la sua connotazione tipicamente mafiosa ed evidenziare le dinamiche criminali insistenti nel territorio della Sibaritide».
DROGA E CONTI IN SOSPESO. Secondo quanto rivcostruito dai carabinieri, Giuseppe aveva conti in sospeso con la ‘ndrangheta. Affari di droga, forse una partita non pagata. Una moneta da 50 centesimi fu trovata accanto al corpo di Iannicelli, una firma e una spiegazione insieme.
Il piccolo usato come scudo
Secondo i carabinieri, inoltre, il nonno portava sempre con sé il bambino, utilizzato come una sorta di scudo protettivo per dissuadere i nemici dal compiere agguati nei suoi confronti. L'uomo, con ogni probabilità, sapeva di essere nel mirino delle cosche che gestiscono il traffico di droga a Cassano e nell'hinterland.
BAMBINO AFFIDATO AL NONNO. Per questo, per cercare di scongiurare il pericolo di una possibile aggressione , aveva pensato di portarsi dietro durante i suoi spostamenti suo nipote, primogenito della figlia Antonia Maria, in carcere per scontare una condanna per droga. Il bambino gli era stato dato in affido ed era diventato la sua ombra.
Una fmiglia dietro le sbarre
Al piccolo non era toccata in sorte una famiglia modello, per usare un eufemismo. Sua madre, la zia Simona, suo padre Nicola, lo zio Roberto Pavone, la nonna Maria Rosaria Lucera, sono tutti in carcere dal 2011 per traffico di stupefacenti.
PURE IL NONNO CONDANNATO. Per questo Nicola era stato affidato al nonno, che pure aveva scontato otto anni per droga ed era sorvegliato, con l’obbligo di rientrare a casa alle 20 di ogni sera e non poterne uscire fino alle 8 del mattino successivo.
L'appello inascoltato del papa
Una vicenda, quella di Cocò, che aveva sollecitato anche l'intervento di papa Francesco.
VISITA AL PADRE. Il 26 gennaio 2014, 10 giorni l'omicidio, il pontefice aveva rivolto al piccolo un pensiero e una preghiera in occasione dell'Angelus in piazza San Pietro: chi ha ucciso un bambino così piccolo, «con un accanimento senza precedenti nella storia della criminalità, si penta e si converta», aveva detto Francesco, che qualche mese dopo avrebbe incontrato il padre del bimbo, detenuto nel carcere di Castrovillari.
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