venerdì 16 settembre 2016

Rosarno. Dagli scout ai pensionati: stop alle mafie e al caporalato


“Non credevamo che la situazione fosse disperata fino a questo punto”. La visita alla tendopoli di San Ferdinando e agli alloggi container a Testa dell’Acqua, a Rosarno, prevista tra le attività di formazione per i partecipanti al campo della legalità di Polistena, ha lasciato senza parole giovani e anziani. Vergogna e rabbia per le terribili condizioni in cui vivono, sul territorio italiano, centinaia di braccianti immigrati sfruttati dai caporali. 

di Rosanna Grano
“Un’esperienza unica, da rifare, che ci ha arricchito come non pensavamo”. L’accento veronese di Giovanni, quest’uomo altissimo, che porta al collo un foulard degli scout, quasi come se su di lui il tempo non fosse passato, è emozionato e sorpreso allo stesso tempo quando cerca di rispondere alla domanda su cosa abbia lasciato a lui e ai suoi ragazzi l’esperienza del campo della legalità di Rosarno. “Quando ci spostiamo, decidiamo insieme la nuova destinazione. Ci hanno portati qui la curiosità e la voglia di essere utili agli altri. Lo scoutismo ha il compito di formare bravi cittadini. Per questo motivo, scendere in Calabria a lavorare su un terreno confiscato e a fare formazione di legalità poteva essere molto efficace. E in effetti lo è stato.”

Giovanni è educatore di un gruppo scout rover di Verona. Nove ragazzi, tra i 17 e i 19 anni, che hanno stretto subito un rapporto di collaborazione e gioco con i quattro pensionati dello Spi di Bologna, anche loro volontari sui campi. Nel corso della settimana di permanenza a Rosarno hanno alloggiato tutti insieme nella scuola dell’infanzia ‘Via Convento’, che fa parte dell’Istituto comprensivo statale ‘Marvasi-Vizzone’ di Rosarno-San Ferdinando. I più grandi dormivano su alcune brande, nelle classi. I ragazzi, invece, da campeggiatori espertissimi, su sacchi a pelo nella palestra della scuola.

Persone molto diverse tra loro, con percorsi differenti alle spalle. Si sono incontrate in un posto che, probabilmente, non avrebbero mai pensato di visitare. “Noi dello Spi – racconta Nicola Di Lucchio – ci siamo messi a disposizione per partire. Non sapevamo quale sarebbe stata la destinazione. Le mie due figlie avevano già partecipato negli anni scorsi ai campi di Polistena. Così ho deciso di provare pure io. E non me ne sono affatto pentito. Anzi, è un’esperienza da ripetere.”

Il programma, ideato dallo Spi Cgil Calabria e dall’Arci di Reggio Calabria, prevedeva una serie di tappe e momenti formativi. La mattina si andava a lavorare su un terreno confiscato alla ‘ndrangheta e affidato al Consorzio Terre del Sud. Il pomeriggio, invece, erano previsti incontri e visite: alla casa di Peppe Valarioti, al poliambulatorio di Emergency di Polistena, a Riace nel laboratori che animano le vie del borgo, al museo di Medma. Nessuno di questi, però, sembra avere colpito giovani e meno giovani come la visita alla tendopoli di San Ferdinando e agli alloggi container a Testa dell’Acqua. Qui, con Celeste Logiacco, segretario generale Flai Cgil Piana di Gioia Tauro, si è discusso del problema del caporalato e dello sfruttamento degli immigrati.
“Non credevo che la situazione fosse disperata fino a questo punto”, dice con occhi emozionati Raffaella Collina dello Spi di Bologna. “Non so come si faccia ancora a tollerare che uomini, donne e persino bambini vivano in una stato di degrado come quello che abbiamo visto. Le condizioni igienico-sanitarie sono precarissime, chi lavora viene sfruttato, fuori dalla tendopoli queste persone sono discriminate. Porterò quelle immagini con me e spero di poter fare qualcosa, anche solo raccontando quello che ho visto”.

Ma un barlume di speranza c’è. Ha il volto di un uomo nero, ha l’età di un giovane, ha la grinta di uno che è sopravvissuto a un viaggio durante il quale in tanti muoiono, ha la coerenza di chi ce l’ha fatta ma non dimentica di aiutare chi ancora ce la deve fare. È un migrante che sta nella tendopoli ed è diventato un sindacalista della Cgil. Nonostante questo, continua a vivere con gli altri. Ora ha uno stipendio, potrebbe permettersi una casa, ma è convinto che restare accanto agli altri sia la strada migliore per continuare a conoscere i loro problemi e a difenderli perché i loro diritti vengano rispettati.

E fino a quando ci sarà qualcuno come il giovane sindacalista, come i volontari venuti dal Nord, che parlerà, si indignerà, combatterà per un mondo più giusto, forse la speranza continuerà a non morire. Perfino a Rosarno.


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